LA SOCIETÀ CAPITALISTICA E LA MINACCIA PSICOLOGICA DEGLI ARMAMENTI

 
 

di Daniele Cappai

 
 

La globalizzazione è l'invasore latente.

Pensare oltre alle proprie frontiere e cercare di raggiungere i confini del globo terrestre non sono novità nella storia dell’umanità. Da Genghis Khan ad Alessandro Magno possiamo trovare personaggi che hanno condotto le loro azioni politiche a partire da obiettivi espansionisti e imperialisti. Tuttavia, il fattore innovativo presentato dalla globalizzazione è che l’agente attivo, in altre parole, il conquistatore, non si mostra presente. L’informatizzazione dei rapporti sociali ed economici, avvenuta negli ultimi decenni del secolo scorso, ha permesso che la “società globale” finalmente fosse sentita, anche se in modo incipiente e controverso, nel mondo: il fatto che qualsiasi individuo, in qualsiasi luogo del mondo, possa entrare in contatto e stabilire rapporti interpersonali con qualsiasi altro individuo del mondo, stabilisce un punto di riferimento nel reale avvento della globalizzazione. La ricerca mira a comprendere ed informare rispetto al traffico globale d’armi, a come essi siano mutati nel tempo e tenta di capire la questione del disarmo nucleare e di come esso viene giustificato ed inteso a partire dagli stati membri del G7.

 

Considerare ammissibile lo sterminio totale del prossimo: le armi nucleari.

 

Il 7 luglio 2017, in un lungo percorso verso la completa eliminazione delle armi nucleari, è stato promulgato dalle Nazioni Unite il Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari, la prima convenzione internazionale legalmente vincolante atta a ostacolare la produzione delle armi di distruzione di massa. Ad oggi rimangono tuttavia attivi nel mondo 14.205 ordigni, di cui 6.965 in mano a paesi del G7 (Usa: 6450, Francia: 300, Inghilterra: 215). Per quanto nell’ultimo anno le armi nucleari siano globalmente diminuite di 900 esemplari, paesi come Cina, Pakistan, India e Corea del Nord invece di arrestarne la produzione, hanno incrementato la produzione di 90 nuove unità. Con lo scopo di creare un movimento di opinione per la ratifica da parte di tutti gli Stati del trattato, è stata lanciata Senzatomica, una campagna per generare consapevolezza sulla minaccia delle armi nucleari. Riprendendo le parole di Daisaku Ikeda, presidente della Soka Gakkai Internazionale: “Il vero “nemico”, non sono le armi nucleari in quanto tali, né gli stati che le possiedono o le costruiscono, bensì il modo di pensare che le giustifica: considerare accettabile l’opzione “annientamento totale” degli altri.”

 

Meno guerre, più armi. L'assoluto controllo degli Stati Uniti con un business da 1000 milioni di dollari.

Per quanto raramente venga riportata la notizia di conflitti attivi attraverso media mainstream, nel mondo sono dieci le guerre in atto che soltanto nell’anno appena trascorso hanno causato più di 130’000 morti. La più cruenta è il conflitto in Afghanistan, una guerra dimenticata dai media che dura, ininterrottamente, dal 1978 e che nel 2018 ha provocato più di 35.000 vittime. Negli ultimi vent’anni le guerre si sono più che dimezzate, passando dalle 23 del 2000 alle 10 attuali, nonostante questo le esportazioni di armi da parte degli stati del G7 non sono affatto diminuite, anzi, hanno avuto un aumento del 13% passando da 12.182 a 14.992 milioni di dollari. Tra i paesi del G7 emergono in particolare modo gli Stati Uniti che, con 10.508 milioni di dollari, detengono più del 70% delle esportazioni. Un altro paese che si distingue dagli altri è il Giappone, che nel corso dell’ultimo anno ha esportato armamenti per 3 milioni di dollari. Ciò non sorprende se si considera che l’articolo 9 della Costituzione giapponese, scritta dall’occupante americano dopo la sconfitta nipponica nella seconda guerra mondiale, esclude per Tokyo la possibilità di avere forze armate. A fine dicembre 2018, in controtendenza con gli anni precedenti e con la chiara volontà di allargare gli spazi di operatività della Forze di autodifesa (Jieitai), il primo ministro giapponese Shinzo Abe ha presentato un piano che prevede una spesa in armamenti di 240 miliardi di dollari per il quinquennio dal 2019 al 2024, e che per l’anno in corso fissa il budget per la difesa a 47 miliardi di dollari.

 

Vendita di armamenti dal 2000 al 2018

 
 
 
 
 
*Fonte Sipri
US DE FR UK IT CN JP 2018 2017 2016 2015 2014 2013 2012 2011 2010 2009 2008 2007 2006 2005 2004 2003 2002 2001 2000

Categorie di armamenti vendute dal 2000 al 2018

 
 
 
 
 
 
 
*Fonte Sipri
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Lo sviluppo tecnologico e la guerra da salotto.

 
 

Con la fabbricazione di nuove unità aeree e missilistiche e il progressivo abbandono degli armamenti a corto raggio, gli stati stanno gradualmente uscendo dall’ottica di attacco-contrattacco per proiettarsi verso conflitti a lungo raggio, impedendo così al nemico di rispondere al fuoco e imponendo la propria supremazia senza arrecar danno a sé stessi.

 

Proprio in quest’ottica il Dipartimento della Difesa americano ha dichiarato che entro il 2030 i conflitti saranno combattuti quasi interamente utilizzando sistemi robotici senza pilota. In questa direzione si muove Leonardo S.p.A., azienda italiana leader nel settore aerospaziale, il cui maggior azionista è il Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano, che nel 2018 ha investito 1,4 miliardi di euro in ricerca e sviluppo, pari al 12% dei ricavi che ammontano a 12,4 miliardi di euro nell’ultimo anno.

 
 

LA GUERRA: CONDIZIONE NECESSARIA DEL TRAFFICO D'ARMI

 

2018: con 3697 milioni di dollari è l'Arabia Saudita il leader mondiale nell'acquisto di materiale bellico.

Durante l’analisi dei dati sulle esportazioni dell’industria bellica, elemento cardine per comprendere a fondo la questione l’esame, è il tentare di capire chi sono gli acquirenti dei paesi del G7. Nell’anno appena trascorso, con un’importazione di 3697 milioni di dollari, è l’Arabia Saudita ad attestarsi al primo posto nell’acquisto di armamenti. Il caso dell’Arabia Saudita è singolare non solo per l’ingente acquisto di materiale bellico ma, soprattutto, poiché combatte attivamente un conflitto tutt’oggi aperto in Yemen che, solo nell’ultimo anno, ha provocato più di 25’000 vittime. Fino al 2017 anche l’Italia ha fornito all’Arabia Saudita bombe fabbricate dalla RWM S.p.A., con sede legale a Ghedi (Brescia) e stabilimento produttivo a Domusnovas, in Sardegna. Nella questione Italia-Arabia Saudita, anno eclatante è il 2016 quando vennero vendute ai sauditi almeno 21.822 bombe made in Italy. Nell’anno appena trascorso l’Italia non ha venduto armamenti al governo di Riad e lasciano ben sperare le parole del Ministro dello sviluppo economico Luigi di Maio che così ha dichiarato: “Non vogliamo continuare a esportare armi verso Paesi in guerra o verso Paesi che è risaputo che le vendono a chi è in guerra”.

 
 

Commercio di armamenti nel 2018

/////////////////////////// GIAPPONE /////////////////////// /////////////////////////// REGNO UNITO /////////////////////// /////////////////////////// FRANCIA /////////////////////// /////////////////////////// ITALIA /////////////////////// /////////////////////////// GERMANIA /////////////////////// /////////////////////////// CANADA /////////////////////// /////////////////////////// AMERICA /////////////////////// USA Saudi Arabia $3353M Australia $918M Japan $675M South Korea $612M Israel $480M Qatar $423M Norway $346M Morocco $333M Turkey $293M Italy $241M Afganistan $206M Egypt $1970M United Kingdom $194M Taiwan $129M Canada $121M Indonesia $90M Lebanon $85M Finland $76M Poland $72M Brazil $60M Greece $59M Singapore $56M Kuwait $55M Sri Lanka $54M France $50M Jordan $50M Thailand $49M Tunisia $46M Chile $44M I raq $40M Denmark $32M India $25M Mexico $18M Netherlands $18M Romania $13M Pakistan $12M Ukraine $12M Latvia $11M Panama $11M Ethiopia $10M Philippines $8M Argentina $7M New Zeland $6M Portugal $6M Georgia $4M Nigeria $4M Algeria $3M Colombia $3M Botswana $2M Cameroon $2M Croatia $2M Czech Rep. $2M Germany $2M Senegal $2M Uzbekistan $2M Albania $1M Belgium $1M Honduras $1M $10508M FR Egypt $399M Qatar $212M India $199M Singapore $181M Saudi Arabia $155M Spain $135M China $84M Brazil $60M Morocco $50M USA $48M Gorgia $34M Tanzania $30M Argentina $23M Indonesia $21M Nigeria $21M Thailand $15M Kazakhstan $13M Italy $10M Hungary $9M Mexico $8M Sri Lanka $8M Greece $6M Denmark $4M Lebanon $4M Norway $4M Austria $3M Botswana $3M Estonia $3M Kuwait $3M Ukraine $3M Ecuador $2M Kenya $2M Lesotho $1M Nepal $1M $1768M GER South Korea $581M Saudi Arabia $114M USA $95M Netherlands $87M Algeria $48M Portugal $37M Turkey $30M Jordan $29M Australia $27M United Kingdom $27M Hungary $26M Lithuania $23M Thailand $22M Indonesia $20M Israel $18M China $17M Canada $11M France $8M Singapore $8M Spain $8M Oman $7M Egypt $6M India $6M Malaysia $5M Norway $5M Austria $4M Serbia $3M Poland $1M $1277M CN Saudi Arabia $14M Australia $9M France $9M Afghanistan $7M United Kingdom $6M Lebanon $3M Argentina $2M Jordan $2M Mali $2M Qatar $2M Mexico $1M $84M ITA Turkey $181M Pakistan $103M Jordan $50M Norway $49M Thailand $38M Brazil $29M Bangladesh $25M Indonesia $23M Qatar $20M Slovakia $16M Angola $12M Australia $12M Libya $9M Nepal $6M Singapore $6M Bahrein $5M Uruguay $4M France $3M Ireland $2M Portugal $2M Greece $1M $611M UK Norway $230M Brazil $136M Saudi Arabia $61M Ireland $33M France $32M Bahrein $28M Italy $24M USA $24M China $20M Japan $13M Poland $13M Australia $10M Colombia $10M Germany $10M Pakistan $10M India $4M Latvia $4M Morocco $4M $741M JP Poland $3M $3M
 

La minaccia psicologica e l'assoluto disprezzo nei confronti della vita umana

Come confermato dai dati, dunque, per quanto il numero di guerre in atto sia molto diminuito rispetto agli anni precedenti, il commercio di armi, sia di distruzione di massa che comuni, risulta nettamente in aumento. Questa allarmante crescita, insieme alle possibilità offerte dalla ricerca nel campo permettono l’accentuazione del pensiero, negli stati e nelle comunità, che il solo possesso di armi sia una minaccia “psicologica” e di oppressione verso il prossimo da parte dello stato aggressore, nell’ottica della possibilità che una guerra possa essere combattuta in comodità dal proprio sofà. Fenomeni come le guerre di aggressione, il terrorismo internazionale, la supremazia egemonica degli Stati Uniti, la strage di innocenti come nel caso della tragedia di Gaza, la povertà estrema di oltre un miliardo di persone e la morte per fame di milioni di bambini, il fenomeno altrettanto tragico delle migrazioni continentali, il disastro ecologico sempre più incombente annunciano l’avvento di un incontenibile, terroristico disordine internazionale. Prima di disegnare affascinanti e rassicuranti progetti di un ordine internazionale basato sul diritto e sulla coesistenza fra le civiltà e le culture in nome di valori come la democrazia, la libertà, i diritti umani, dovremmo riuscire a capire come sarà possibile nei prossimi decenni non eliminare la guerra, l’odio, il terrore e lo spargimento del sangue, ma almeno di ridurre minimamente l’assoluto disprezzo della vita umana che oggi caratterizza i processi di globalizzazione e le strategie egemoniche delle grandi potenze. Solo dopo avrà probabilmente senso ripensare, se non certo alla “pace perpetua” di Kant, almeno all’idea di una meno grave discriminazione mondiale fra ricchi e poveri, fra deboli e forti, fra cittadini privilegiati e migranti disperatamente alla ricerca, al prezzo della vita, di una vita migliore Se uno Stato combatte il suo nemico in nome dell’umanità, sostiene Schmitt, la guerra che conduce non è una guerra dell’umanità. Quello Stato cerca semplicemente di impadronirsi di un concetto universale per potersi identificare con esso a spese del nemico. Monopolizzare questo concetto nel corso di una guerra significa tentare di negare al nemico ogni qualità umana, dichiararlo hors–la–loi e hors–l’humanité, in modo da poter usare nei suoi confronti metodi spietati sino all’estrema disumanità.

 
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