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Fino al 22 maggio 1978 l’interruzione volontaria di gravidanza era regolata dal Codice Penale e considerata un reato. In seguito a numerose morti dovute ad aborti effettuati illegalmente, il tema dell’aborto trovò spazio ed ottenne voce grazie al nuovo interesse dei giornali. Tra proteste e movimenti di liberazione culturale, le donne faticano ancora ad accedere ai servizi essenziali. Oggi, 41 anni dopo la Legge 194/78, numerose sono infatti le complicazioni da affrontare ed il diritto a scegliere appare come fortemente compromesso. La dilagante obiezione di coscienza, le discriminazioni e quella che di fatto viene considerata una violenza di genere, aggravano anno dopo anno il disservizio in molte regioni, limitando di fatto il diritto alle scelte riproduttive e alla salute di molte donne. Una continua privazione della possibilità di scelta, data dal fatto che la sessualità femminile sia considerata solo con il fine ultimo della riproduzione, costringe, letteralmente,
Se la modernità e già dalla metà degli anni cinquanta tangibile ovunque e in ogni settore della vita pubblica e privata di molte persone, essa non coincide pero ancora con la vita quotidiana delle donne. Il 1975 è l’anno in cui inizia ad emergere un discorso sull'essere madri e sulla possibilità di scegliere di non esserlo che le donne pongono decisamente come problema politico su cui discutere, come sfida al sistema patriarcale.
"Un milione di aborti vengono procurati nel nostro Paese. Su di essi si stende il velo della vergogna del segreto, della speculazione. È ora di squarciare questo velo complice di tante tragedie, in un’appassionata difesa di una maternità più serena e più cosciente"
M. Pastorino, I figli che non nascono. Un’inchiesta coraggiosa sul dramma segreto delle donne italiane. Prima parte, "Noi donne", XVI, 6, 9 febbraio 1961, p.14-19.
Numerosi furono gli scontri fra le diverse posizioni politiche fino al 22 maggio 1978, anno in cui veniva approvata la legge 194, con la quale si riconosceva il diritto della donna a interrompere, gratuitamente e nelle strutture pubbliche, la gravidanza indesiderata. In essa venivano stabilite politiche di prevenzione da attuarsi presso i consultori familiari, era anche ammessa la possibilità di non operare per il medico che avesse sollevato obiezione di coscienza.
Recita l'art.1 della Legge n. 194:
"Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite..."
Notiamo sin da subito come già nel primo articolo le questioni trattate siano molteplici e i dubbi da risolvere numerosi. Innanzitutto occorre chiarire cosa debba intendersi per "procreazione cosciente e responsabile".
Una procreazione è cosciente quando si e in grado di comprendere la portata delle proprie azioni, nel caso di specie la prosecuzione di una gravidanza con tutte le conseguenze che ne derivano; è responsabile quando la suddetta scelta sia stata ben ponderata, presa liberamente, nel pieno delle proprie convinzioni e si e pertanto suscettibili di essere chiamate a rispondere delle proprie azioni.
L’ art.4 permette alla donna di richiedere un’interruzione volontaria di gravidanza entro i novanta giorni di gestazione nel caso in cui “il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica”. Mentre dopo i primi novanta giorni “può essere praticata quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna”.
Se guardiamo all’Italia nel contesto europeo noteremo sicuramente che il confronto tra i livelli di abortività dei Paesi selezionati colloca la nostra nazione come una delle ultime, seguita soltanto dalla Germania. La legge assicura alle donne la possibilità di ottenere un’IVG in un contesto sicuro e protetto dalla presenza di personale medico efficiente.
Tasso di abortività volontaria per 1000 donne di età 15-44 anni.Dati riferiti all'anno 2016_Ministero della Salute
Dati riferiti all'anno 2016_Ministero della Salute
Fino ad oggi i dati del Ministero della Salute confermano un calo del numero di aborti rispetto al 1983 a conferma del fatto che molto spesso il proibizionismo non è la soluzione migliore. Infatti come si può notare dall'andamento del grafico sotto, il tasso di abortività passa dal 17,2 nel 1982 al 6,20 nel 2017.
La legge italiana, garantisce al personale medico e sanitario di potersi esonerare dal servizio invocando all’obiezione di coscienza. Nel 2016 i ginecologi obiettori erano mediamente il 70%, con gravi disparità fra le regioni. Se consideriamo il tasso di abortività regionale, in Valle d’Aosta il 18% di ginecologi risulta obiettore di coscienza confrontato con i ginecologi obiettori presenti in Molise pari al 97%. L’articolo 9 della 194/78 infatti consente al personale sanitario (ginecologi, anestetisti ecc) di sollevare obiezione di coscienza ma allo stesso tempo non le esonera “dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”.
Nonostante questo però, nei fatti, la situazione appare completamente diversa. Quasi surreale. In coda all’alba, in scantinati squallidi e freddi. Numeri di telefono che squillano a vuoto. Attese di settimane. Medici che rifiutano certificati o indirizzano a cliniche private. La volontaria dell’associazione “pro vita” che parla di «omicidio». Mentre i consultori cattolici, in crescita, incassano soldi pubblici, ma mettono in chiaro che fra le loro mura la legge sull’aborto non è in vigore.
Appare legittimo chiedersi se la presenza così alta dell’obiezione di coscienza e la disparità a livello regionale non pregiudichi, o limiti, il diritto delle donne ad ottenere un aborto sicuro e gratuito in alcune aree del territorio italiano, ipotizzando quindi una delle tante e possibili motivazioni che permettono di giustificare il calo costante che si sta verificando se guardiamo ai dati istituzionali a nostra disposizione. Il tasso di abortività regionale in questo caso non è sufficiente per misurare la relazione tra i due tipi di dati perché non tiene conto del fatto che alcune donne possano recarsi ed ottenere un’IVG in un luogo diverso da quello dove risiedono. Il tasso di abortività regionale conta il numero di IGV rispetto alla provenienza della donna e al luogo in cui avviene. Risulta quindi non accurato per assicurarci dei confronti regionali il più possibile vicini alla realtà in quanto non tiene conto del fatto che alcune donne possano recarsi ad ottenere un’IGV in un luogo diverso da quello dove risiedono.
Come si può notare dal grafico sotto, il caso del Molise appare come il più eclatante seguito dalla Calabria, sia per la percentuale di ginecologi obiettori che per il numero di donne che "espatriano" alla ricerca di un intervento abortivo. Le regioni del centro Italia, in particolare la "zona rossa", al contrario, sono le regioni che obiettivamente accolgono più donne per la pratica dell'aborto e che presentano una percentuale di obiettori inferiore.
Dati riferiti all'anno 2016_Ministero della Salute
Il tasso di abortività regionale in questo caso non è sufficiente per misurare la relazione tra i due tipi di dati perché non tiene conto del fatto che alcune donne possano recarsi ed ottenere un’IVG in un luogo diverso da quello dove risiedono. Il tasso di abortività regionale conta il numero di IGV rispetto alla provenienza della donna e al luogo in cui avviene. Risulta quindi non accurato per assicurarci dei confronti regionali il più possibile vicini alla realtà in quanto non tiene conto del fatto che alcune donne possano recarsi ad ottenere un’IGV in un luogo diverso da quello dove risiedono. Questi “pellegrinaggi sanitari “però potrebbero non essere dovuti esclusivamente all’obiezione di coscienza. Potrebbero esservi, infatti, altre ragioni per cui le donne scelgono di recarsi in altre regioni per abortire, legate allo stigma sociale e alla ricerca di riservatezza, oppure alla miglior qualità o fama delle strutture sanitarie in altre regioni o ancora una motivazione plausibile sarebbe quelle dell’emigrazione per motivi di studio o di lavoro.
In occasione dei 40 anni di approvazione della legge 194 nel 2018 viene pubblicata un’inchiesta uscita sul numero di marzo delle giornaliste di Fq Millennium (Martina Castigliani, Silvia Bia, Claudia Campese, Tiziana Colluto, Anna Dazzan, Luisiana Gaita, Angela Gennaro, Elisa Murgese, Giulia Zanfino) le quali si sono presentate in ospedali, consultori e farmacie di tutta Italia chiedendo di abortire o di avere la “pillola del giorno dopo”. Il video e le testimonianze riportate sono tutt’altro che rassicuranti.
Ponendo in relazione una misura di mobilità territoriale delle donne che abortiscono con la percentuale dei ginecologi obiettori in relazione al livello di fecondità, la religiosità della popolazione, le condizioni economiche e lavorative, le regioni che registrano maggiori flussi migratori di donne in cerca di un’IVG sono proprio quelle in cui l’obiezione di coscienza è più diffusa. Un altro importante fattore da considerare è che il tempo di attesa medio fra il rilascio, da parte del medico, del documento con cui si autorizza l’IVG e il vero e proprio intervento, osserviamo che nelle regioni con più obiettori i tempi di attesa tendono ad essere più lunghi.
Possiamo quindi dire che l’obiezione di coscienza risulta essere in forte squilibrio a livello regionale il che complica di fatto l’accesso all’IVG, imponendo tempi, distanze e costi maggiori alle donne in cerca di un aborto sicuro. Per quanto la Legge 194 riconosca il diritto del personale sanitario ad astenersi dal praticare l’IVG per motivi di coscienza, ugualmente tutelato dovrebbe essere l’accesso all’IVG nelle strutture del servizio sanitario nazionale, laddove in molti ospedali non è garantito. L’accesso al servizio e soprattutto la discriminazione nei confronti della donna che decide di prendere questa scelta e le conseguenze annesse risulta minato anche, ad esempio, dalla presenza di volontari Pro-Vita negli ospedali e nei consultori pubblici, la cui posizione rispetto all’aborto è storicamente contraria e considerata “omicidio” anche nel caso in cui una donna decida di non dare alla luce un bambino concepito in caso di violenza sessuale, dai farmacisti, che illegalmente si dichiarano obiettori in maniera non ufficiale rifiutandosi di vendere la cosiddetta “pillola del giorno dopo” così come dalle violenze ostetriche.
Da sempre, il ruolo delle organizzazioni, delle associazioni di medici non-obiettori risulta fondamentale per dare voce, sicurezza, di contestare e di restituire la dignità di cui molto spesso sono private, ingiustamente, le donne. Quella che di fatto viene considerata una violenza di genere continua a privarle della possibilità di scelta considerando la sessualità femminile solo finalizzata alla riproduzione. Una di queste è Obiezione Respinta che attraverso una piattaforma digitale, tramite le segnalazioni degli utenti, offre un servizio di mappatura online dei servizi sanitari classificati a seconda del tipo di servizio considerati più o meno adeguati da utenti della piattaforma stessa. Si tratta dunque di un luogo che fornisce indicazioni pratiche sugli orari dei consultori, sulla presenza o meno di obiettori, l’elenco delle farmacie in cui trovare la pillola del giorno dopo o gli ospedali in cui poter interrompere la gravidanza. Allo stesso modo è importante il contributo offerto dalla piattaforma Non una di meno il cui obiettivo è quello di occupare e riprendere lo spazio che spetta alle donne nella società. L'obiettivo è quello di riaffermare una nuova stagione della consapevolezza. Già nello slogan è contenuta la filosofia globale di quello che si può chiamare un rinascente movimento femminista internazionale.